“E’ Norma Desmond! Era una delle più grandi star del cinema muto.”
”Io sono ancora grande. E’ il cinema che è diventato piccolo.”
Che Billy Wilder sia stato un genio assoluto della cinematografia è argomento ampiamente condiviso. I suoi attenti spettatori semmai battibeccano ancora su quale sia stata la sua opera più compiuta: da A Qualcuno Piace Caldo a La Fiamma Del Peccato, da Sabrina a Testimone D'Accusa la scelta è ampia, e si può spaziare tra la commedia più sofisticata al noir più maledetto. Io punto su Sunset Boulevard, ossia Viale Del Tramonto.
Se mai sono stati realizzati del film perfetti sotto ogni punto di vista, Viale Del Tramonto è uno di questi. A parer mio è il miglior film su Hollywood, girato non a caso da un regista profondamente europeo. Tentarne una recensione è un arbitrio a prescindere dalla profondità che si possa raggiungere: Sunset Blvd è un'opera che può essere analizzata sequenza dopo sequenza ma non può assolutamente essere liquidata con due righe di prammatica. Gli aggettivi si potrebbero sprecare senza sbagliarne uno: sublime ma crudele, immenso ma macabro, geniale ma tetro, ironico ma senza speranza, grandioso ma decadente, magnifico ma inquietante, e così via ad libitum.
La storia senza speranza della grande diva del muto Norma Desmond (interpretata da una mai così grande Gloria Swanson, cesellatrice di uno dei personaggi femminili più terribili ed affascinanti di sempre) diventa subito archetipo cinematografico della grande diva caduta nel dimenticatoio. Sempre nel 1950, forse non a caso, esce un altro caposaldo sul dramma del labile divismo: quel Eva Contro Eva ugualmente celebrato ma meno efficace, forse perchè troppo politically correct, troppo ripulito e patinato per poter competere col cinema viscerale e scevro da ipocrisie di Wilder. E non a caso l'Academy scelse il film con Bette Davis per il pienone di Oscar (stabilendo il record di 14 nomination, uguagliato solo dal Titanic di Cameron), mentre per colmo d'ingiustizia entrambe le dive furono beffate, per il premio come migliore attrice, dalla più rassicurante Judy Holliday di Nata Ieri. Eppure Wilder e la sua corte di interpreti non hanno bisogno dell'Oscar per assicurarsi l'immortalità. Sono i personaggi che fanno grandi i premi che ricevono, raramente accade il contrario.
Secondo molti appassionati di cinema, quello in oggetto non è un film. E' IL film. E' l'opera che insidia più da vicino a Quarto Potere lo scettro di miglior film della storia del cinema, e a parer mio lo surclassa in scioltezza. Nel film di Wilder, mi ripeto, tutto è perfetto: dalla sceneggiatura (solida, originale, equilibrata tra i vari temi trattati, modernissima nel linguaggio ancora oggi, non una parola di troppo, non una scena che sia banale riempitivo) alla regia (che riesce a far recitare anche un portacenere o una tenda), dalla scelta degli attori (che creano uno strano senso di straniamento/identificazione coi rispettivi personaggi) all'uso delle luci e delle ombre (per mettere in risalto la differenza tra la sepolcrale dimora della ex diva ed il luminoso mondo degli studios). Da brividi l'idea di raffigurare lo splendore della Desmond giovane diva attraverso le immagini della vera Gloria Swanson in Queen Kelly, diretto proprio dall'Erich Von Stroheim che qui (fuoriclasse come sempre) ne prende il merito anche nei panni del maggiordomo Max Von Mayerling.
I toni scuri sono i prediletti di Wilder. Del resto, può esistere un film più sinistro di quello in cui l'intera vicenda è raccontata da un cadavere che nella prima scena è ripescato da una piscina? Forse no. Può una pellicola con un tale incipit non essere un film che parli di decomposizione? Certamente no. E decomposizione sia: passando dal funerale di una scimmia onorata come un figlio (la Diva Norma precorre addirittura la star Michael Jackson!) assistiamo agli effetti della decadenza della giovinezza, che diventa inesorabile maturità, ma anche di un mondo, quello del cinema muto, ucciso da quello sonoro, più fruibile ma meno affascinante, portandosi dietro una lunga teoria di star messe da parte da un anno all'altro. E così i veri divi del muto (dalla stessa Swanson a Buster Keaton, per non parlare del geniale regista ed attore Erich Von Stroheim) sono, per ammissione dello stesso narratore, statue di cera di un mondo ormai tramontato. Manca solo Charlie Chaplin, presente solo attraverso una magnifica imitazione di Gloria Swanson.
La luce è invece richiamo di splendore e successo. In questo senso è esemplificativa la scena in cui Norma Desmond fa visita agli studi della Paramount nella speranza di una nuova scrittura. Un operatore la riconosce e le punta con tenerezza un riflettore addosso. Tutti la notano e la riconoscono, accorrendo ad onorarne la grandezza passata. Ma lo spettacolo deve continuare e così l'operatore torna al suo lavoro, e con lui va via anche il raggio luminoso. E con le luci vanno via anche le persone che erano accorse a celebrare la diva, sublime metafora del successo che è tale solo sotto i riflettori e del pubblico che segue più la brillantezza della fama del momento che non la vera arte. La breve visita di Norma Desmond agli studios offre a Wilder anche il pretesto per condensare l'odio che la diva del muto prova per il cinema sonoro, e la guerra metaforica che si è svolta tra questi due mondi: un microfono la copisce per errore al capo e lei gli lancia un breve ma intensissimo sguardo rabbioso, come chi incontri il responsabile della propria decadenza. E' solo un attimo, ma che attimo!
E così Norma resta nel suo castello-tomba (un gotico moderno) attorniata dai fantasmi che tenta disperatamente di tenere in vita: il ricordo di se stessa, il fedele maggiordomo, le lettere degli ammiratori, i suoi giri in Isotta Fraschini, gli amici della partita a carte. Neanche l'afflato di giovinezza e sensualità portato da Joe Gillis (William Holden) è destinato a durare, anzi contribuisce al precipitare degli eventi, a spingere la grande diva a cristallizzarsi per restare tale solo nella sua mente ormai irrimediabilmente malata, fino all'ultima, definitiva, passerella sotto i riflettori: ma non si tratta della rentrée che sperava.
Wilder tratta l'ambiente hollywoodiano con freddezza e cinismo ma non cade nell'errore di diventare un banale moralista fustigatore di costumi. La sua forza espressiva sta proprio nella neutralità, nell'equilibrio, nell'illustrare una vicenda che è specchio fedele di tante altre consumatesi sul Sunset Boulevard di Hollywood ma senza prendere una posizione netta. Il film non mostra mancanza di stima verso l'industria del cinema, come qualcuno ha insinuato, anzi mostra addirittura Hollywood nel pieno del suo splendore attraverso una visita guidata sul set di uno dei suoi massimi registi: Cecil B. De Mille, che interpreta se stesso. E' lo spettatore che deciderà se amare o odiare Norma Desmond ed il suo mondo di cartone.
28 anni dopo Wilder realizzerà il seguito ideale di Viale Del Tramonto col meno riuscito ma ugualmente suggestivo Fedora. Le storie sono assolutamente indipendenti una dall'altra ma hanno in comune quella malinconica decandenza dovuta alla fama che scompare, oltre che il protagonista maschile: William Holden.
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